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Alexandros (capitolo 3)


Marcus chiamò Alexandros poiché aveva bisogno che il giovane gli facesse dei calcoli che ai suoi notai non uscivano e il risultato era in deficit. Quindi il ragazzo, dopo un primo momento di sorpresa, poiché era la prima volta che gli chiedeva il suo aiuto, si mise alla scrivania e iniziò a rifare i conti, a riguardare ogni azione dei vari fattori, a controllare le vendite e le entrate. Marcus lo avvertì che doveva andare nel foro per parlare di cose politiche e che, se avesse finito prima del suo ritorno, avrebbe dovuto raggiungerlo lì per comunicargli i risultati.
Alexandros, infatti, finì e prese la pergamena con i calcoli e i risultati e si avviò verso la grande piazza romana.
Fuori il sole stava calando, il caldo afoso d’agosto dava una tregua col calare delle tenebre. Nell’aria c’era profumo di cibo, di fiori, si udivano il trotto dei cavalli, le risa, il parlare della gente. Improvvisamente un brivido gli corse lungo la schiena e affrettò il passo. Non era stato prudente uscire a quel ora da solo. Roma poteva essere fin troppo pericolosa dopo il tramonto. Meno male che mancava poco fino al foro, quindi imboccò una stradina che fungeva da scorciatoia, senza accorgersi dei passi che riecheggiavano dietro ai suoi.
Maledizione ai calcoli di Marcus e dei suoi notai che erano solo degli idioti incapaci di contare! Ma era inutile prendersela con lui, e poi di che aveva paura? Sapeva difendersi benissimo, e allora perché si sentiva cosi a disagio? Lo sapeva il perché: perché era uno schiavo e se avrebbe colpito un romano gli sarebbe toccato la morte. Fece un gesto spazientito, certo la morte era meglio della schiavitù, ma non la morte inflitta come pena!
Nel momento in cui arrivò quasi in fondo al vicolo, sentì una mano gelata posarsi sulla sua spalla, trasalì e si voltò. Un uomo con la barba, sudicio, sporco, lo stava guardando con occhi bramosi, Alexandros fece un passo all’indietro, però quello lo afferrò per la vita e lo mise con la faccia al muro, mentre una mano gli indagava un polpaccio, allora il ragazzo sentì di stare per perdere il controllo di sé: si girò su se stesso e lo colpi violentemente alla mascella, cosicché gli saltarono fuori tre denti, poi gli prese il braccio e glielo rigirò fino a quando udì che gli aveva rotto le ossa e quello gridò fortemente dal dolore, volle colpirlo un’altra volta, ma inaspettatamente sentì un grandissimo dolore alle spalle, la vista gli si appannò e perse i sensi.

Alexandros si svegliò con un gran mal di testa. Dapprima non si ricordò cosa successe, in un secondo momento gli venne in mente l’uomo che aveva voluto violentarlo e si sentì ancora arrabbiare, tuttavia il dolore era cosi forte che si calmò portandosi una mano dietro alla nuca.
“ Non è nulla di grave”lo rassicurò una voce che proveniva da un angolo della camera. Le luci dei lumi non arrivavano a illuminare fino a lì, ma conosceva bene la persona alla quale tale voce apparteneva.
“ Cosa è successo?”domandò Alexandros sottovoce. Marcus uscì dalle tenebre e gli si avvicinò.
“ Sei svenuto e hai dormito per quasi tutta la notte”disse sedendosi sul bordo del letto.
“ Ah… e siete restato qui solo per questo?”chiese non capendo come mai un padrone restasse solo perché un suo schiavo era stato aggredito.
“ Pensavo di averti fatto più male del dovuto”rispose seccamente.
“ Allora siete stato voi!”scoppiò il ragazzo quasi con tono di accusa. Marcus alzò un sopracciglio.
“ Si”.
“ P- perché?”domandò allora il ragazzo confuso.
“ Sei intelligente Alexandros. Pensaci. Hai perso il controllo e se te lo lasciavo fare lo avresti ucciso. In questo modo mi avresti provocato solo dei problemi, nonché la tua morte per aver ucciso un cittadino romano”sibilò l’uomo fra i denti, sembrava arrabbiato.
“ Ma… non volevo ucciderlo!”protestò lui, non capendo. Non avrebbe mai potuto uccidere un uomo!
“ Ne sei sicuro? Avevi perso il controllo di te, ciò significa che su quel uomo avresti abbattuto tutta la tua furia, accumulata durante il tempo”gli illustrò freddamente, il ragazzo era incredulo.
“ In ogni modo, diciamo che gli ho dato io quello che si meritava e ora si trova in prigione, sarà deportato nei prossimi giorni. Era un malfattore che prima di te aveva violentato molti altri ragazzi, romani e schiavi" precisò Marcus guardandolo negli occhi. Alexandros pareva sincero e confuso, no, in quel momento capì che non lo avrebbe ucciso, perché anche se odiava i romani il suo buon cuore non gli avrebbe mai consentito di macchiarsi di un simile delitto.
Alexandros si mosse, la vicinanza del suo padrone lo metteva a disagio. Non sapeva spiegarsi il motivo, ma sentiva che lo assoggettava quando gli parlava, quando lo guardava, quando gli stava vicino. Semplicemente la sua vicinanza lo indeboliva, forse perchè rispecchiava ciò che era, ovvero la figura del padrone. Di certo era per quello… tuttavia era anche il suo fisico snello, muscoloso, abbronzato da cui scaturiva una forza incredibile e il suo portamento deciso gli provocavano quel effetto. E soprattutto gli occhi che non ammettevano repliche.
“ Ma a me non ha violentato…”disse infine Alexandros in tono sommesso.
“ Lo so, perché ti sei difeso anche se non avresti dovuto”rispose lui freddamente.
“ Allora lo dovevo lasciar fare? Preferirei la morte piuttosto che appartenere a simili animali! E ha ragione lei: se mi avrebbe violentato a quest’ora sarebbe morto e dato in pasto agli animali”s’infuriò il ragazzo ricordandosi con ribrezzo come la mano di quel uomo gli si era posata sul polpaccio e rabbrividì per l’orrore.
Marcus parve seguire il filo dei suoi pensieri.
“ Mi compiaccio, ma adesso sei uno schiavo Alexandros e ormai non importa più chi tu sia stato prima, e sai bene quali sono le regole degli schiavi, non ti puoi ribellare perché uno ti vuole possedere”enunciò l’uomo tagliente.
Alexandros arrossì improvvisamente e lo guardò negli occhi.
“ Non è cosi, lo sa anche lei. Io non accetterò mai di essere di nessun altro che non sia il mio padrone. Solo il mio padrone ha potere di vita e di morte su di me, nessun altro. Come a nessun altro io devo fedeltà e lealtà”ringhiò il ragazzo arrossendo sempre più, Marcus contrasse la mascella.
Si alzò e andò verso la porta.
“ Bene, allora non dimenticare mai i doveri che hai verso di me. Ora riposa. Domani non avrai lezioni con i ragazzi. Quando ti svegli vieni da me”dicendo cosi si chiuse la porta alle spalle e se ne andò con passi frettolosi. Alexandros si rimise disteso, ma dopo alcuni secondi affondò la testa nel cuscino sentendosi in imbarazzo. In pratica gli aveva detto che il solo che poteva portarselo a letto era lui!

Marcus uscì in giardino. Ormai mancava poco fino all’alba e fuori l’aria era fresca e piacevole a contatto con la pelle. L’uomo chiuse gli occhi e assaporò quel vento che portava lontani profumi. Quasi gli parve di essere tornato bambino, quando suo padre lo aveva portato nella Macedonia, laddove era vissuto quel Alexandros detto il Grande che lui aveva adorato per le sue imprese, per la sua personalità forte e determinata. Una volta aveva passato tutta la notte ad ascoltare la cantilena di un musico, una triste canzone che riguardava Alexandros; si era emozionato tanto. Poi verso l’alba era andato fuori e lo aveva accolto una ventata che sapeva di fiori, di cibo, di novità, di felicità, di gente e di tradizioni lontani. In quel momento chiuse gli occhi e si chiese se mai nella propria vita sarebbe stato felice, anche se non avrebbe mai potuto compiere simili imprese.
Marcus aprì gli occhi. Quanto tempo era passato da allora… però non era mai stato felice nella sua vita, se non durante quella notte. Osservò una farfalla notturna che prese a girargli attorno. Forse neanche il suo eroe era stato veramente felice, né per le conquiste, né per il successo, né per le numerose amanti e i numerosi amanti, o per la moglie Rosanne, ma solo perché al suo fianco c’era sempre stato Efestione, che aveva creduto in lui e lo aveva sostenuto. Dopo la sua morte, Alexandros non aveva più nulla, il mondo si era improvvisamente svuotato.
Marcus si passò una mano fra i capelli. Non riusciva a capire perché quel giovane lo interessasse tanto; lo aveva preso solo perché aveva lo stesso nome del suo eroe e perché proveniva dalla stessa terra, ora però era curioso di conoscerlo, non come schiavo, anche se si era accorto che fosse davvero un bravo maestro con i ragazzi, sapeva essere comprensibile e dolce, severo e sapeva farsi rispettare. Era la prima volta che accadeva una cosa del genere, persino Julius ora partecipava alle sue lezioni di propria volontà. Soprattutto Aemilia ne era entusiasta e Cornelius gli diceva sempre che Alexandros fosse intelligentissimo e conoscesse ogni cosa. Inoltre aveva visto i due gemelli più volte in compagnia di Alexandros anche dopo le lezioni, erano loro stessi che lo cercavano e ci chiacchieravano. Julius assisteva a ciò da lontano, ma aveva la vaga impressione che anche lui avrebbe voluto avvicinarsi solo che qualcosa lo tratteneva, forse una specie di senso di vergogna.
Invece nei suoi confronti, Alexandros si dimostrava fedele e leale, molte volte aveva avuto l’occasione di studiarne il comportamento. Lo vedeva a disagio quando gli era vicino, forse perché non si era ancora abituato alla condizione di schiavo, e poi mentre lo guardava... arrossiva sempre leggermente.
Marcus sospirò piano. Era tardi, era meglio andare a dormire poiché l’indomani lo aspettava una giornata pesante.

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