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Visualizzazione dei post da aprile, 2009

Noi due ( capitolo 5)

Sbarrò gli occhi sentendo qualcuno accanto a sé. Una cameriera fece un balzo indietro per lo spavento, allora il ragazzo la guardò sorpreso chiedendole spiegazioni con lo sguardo. “Buongiorno signore, mi scusi se l’ho svegliata” bofonchiò la ragazza timidamente. Gabriel si portò una mano dietro la nuca cercando di accelerare il suo intorpidimento dovuto al sonno. “Ah, non ti preoccupare…” mormorò ricordandosi cosa fosse successo quella notte e immediatamente si sentì crescere dentro una rabbia inimmaginabile. Come aveva osato il pervertito prenderlo in quel modo? Come una puttana? “Bene signore, ecco la colazione che il signor Hesediel mi ha ordinato di portarle, spero sia di suo gradimento”. “No, penso proprio che mi andrà di traverso” commentò acido, poi aggiunse “E a proposito di quello stronzo, sa dov’è andato?” domandò coprendosi con le lenzuola dopo aver constatato di essere quasi del tutto scoperto. Situazione abbastanza imbarazzante. “Non lo so, signore, è uscito circa un’ora f

Chase for love (capitolo 3)

Serafine valutò velocemente la situazione e le possibili vie che avrebbe potuto percorrere per raggiungere il suo signore. Spronò il cavallo bianco inducendolo a galoppare più veloce, l’animale emise un verso contrariato, tuttavia obbedì al comando. Il ragazzo si chinò stendendosi quasi completamente sul suo dorso per permettergli di correre più celermente. Improvvisamente vide davanti a sé un sentiero che si addentrava nel bosco, era in salita, a malapena si ricordò di quella viuzza, l’aveva percorsa anni addietro, quando, a causa di una frana, la strada principale era stata bloccata. Senza pensarci due volte la imboccò, fece alcuni giri a vuoto in un posto dove il sentiero era stato occupato dalla foresta, ma presto riuscì a ritrovare la sua continuazione. Era allarmato, conosceva bene Samael e sapeva che quando si mostrava eccessivamente silenzioso era segno che stesse bollendo di rabbia. Strinse le briglie fino a conficcarsi le unghie nei palmi abbassando la testa per non essere gr

Noi due (capitolo 4)

La discoteca più grande della città. “Che diavolo fate? Lo sapete che in teoria non dovremmo neanche mettere piede qui?!” chiese Gabriel guardandosi intorno. Il locale si estendeva su ben cinque piani e aveva ancora due piani sotterranei; c’erano pub, discoteche, casinò. “In teoria!” lo apostrofò Arael “Mica in pratica!”. “Eddai, rilassati, non ci scoprirà nessuno” fece Ariel andando verso il bar. Gabriel respirò profondamente cercando di calmarsi. In fondo era da tanto che non si divertiva e, se anche lo avessero visto lì, cosa gli poteva fare il preside? Giusto fare una telefonata al padre e sorbirsi tutti i lavaggi del cervello che potessero esistere. Arael lo prese per mano trascinandolo verso il centro della pista, dove si stava ballando, molti ormai erano quasi a petto nudo, le ragazze erano poco vestite. Faceva caldo, l’atmosfera era intossicante, si sentivano profumi di ogni tipo, l’odore dell’alcool e della pelle, era tutta una mischia di carne in movimento. Il ragazzo rimase

Noi due (capitolo 3)

Un dolce tepore gli accarezzava i sensi, un profumo di lavanda lo stava inebriando. Si mosse piano, ma sentì un certo dolore alla gamba e spalancò gli occhi. Gli era tornato in mente di essere stato investito! Balzò su aspettandosi di ritrovarsi in una stanza d’ospedale, però quello che vide lo sconvolse: stava in un immenso letto in una camera lussuosa, della cui due delle quattro pareti erano costituite soltanto da vetro che lasciavano intravedere tutta la città di notte. Era abbastanza in alto. Si portò una mano alla testa, si sentiva fiacco, come se fosse stato imbottito di sonniferi o calmanti; cercò di scendere giù dal letto, ma ricadde subito indietro, poiché sentì un forte dolore alla gamba. Si lamentò piano, chiedendosi dove diavolo si trovasse e cosa fosse successo. Le risposte arrivarono nel momento in cui rialzò il capo e i suoi occhi si posarono su un uomo che lo fissava sulla soglia della porta. Si osservarono a lungo; Gabriel non poteva togliere lo sguardo dalla sua figu

Piccola, triste, parentesi

Oggi, aprendo il giornale, mi sono trovata sotto il naso una notizia che mi ha fatto accapponare la pelle: un articolo descriveva la punizione inflitta in Iraq agli omosessuali o presunti tali. Partendo dal sostenere che non ci debbano essere differenze a livello legale rispetto all'orientamento sessuale dei cittadini, in quasi tutti i paesi africani è severamente punita l'omosessualità e ciò accade anche nei paesi asiatici; tuttavia, pure nei cosiddetti paesi "civili", sebbene non ci siano leggi contro l'omosessualità, è presente l'omofobia... perlomeno non prevedono durissime punizioni o la morte per "atti osceni contro natura". Per esporre la mia indignazione, vi racconterò più precisamente cosa io abbia letto: al sospettato omosessuale si somministra un potente lassativo e gli si incolla l'ano con una colla speciale e, pertanto, è fatto morire cosi. Io non ho parole. Ho pensato "Cosa siamo? Belve?"; forse sono io ad esagerare, ma mo

Alexandros (capitolo 8)

Alexandros rabbrividì piano. Guardò davanti a sé; Julius, Cornelius ed Aemilia stavano scrivendo, non c’era nessun altro. Scosse leggermente la testa. Gli era sembrato che ci fosse qualcun altro lì con loro. Tornò a controllare i conti del suo padrone. Il ragazzo assunse un’espressione malinconica. Subito dopo quella notte Marcus era dovuto partire in una campagna militare contro un gruppo di ribelli celti; alla partenza lo aveva visto più silenzioso e triste che mai, anche i suoi tre figli non esprimevano la gioia di sempre, Alexandros era certo che qualcosa gli sfuggisse; di norma, essere un generale in una campagna militare era un grandissimo onore per un civis Romanus, invece capì immediatamente che per Marcus fosse solo una seccatura. Ormai erano passati due mesi da quando era partito, ogni tanto mandava delle lettere ai figli, nelle quali egli era del tutto inesistente. Questo gli faceva quasi male; anche se sapeva che per lui non era che un corpo, avrebbe voluto… alzò gli occhi

Alexandros (capitolo 7)

Cornelius e Aemilia lo seguirono durante la lezione e gli fecero tante domande, invece Julius era molto più silenzioso del solito. Parlando dell’Iliade il giovane gli rifilò una domanda alquanto alludente . “ Maestro?”lo chiamò Julius. “ Dimmi”rispose gentilmente. “ Achille e Patroclo erano davvero amici?”volle sapere. “ Certo” “ Solo amici?”insistette lui e Alexandros capì dove voleva andare a parare. “ Ah, Julius non so se tua sorella…”cominciò lui. “ Non si preoccupi per me! Tanto con questi due attorno si può ben immaginare cosa mi tocchi sentire…!”intervenne lei alzando gli occhi al cielo. “ Bene… se la mettete cosi” borbottò sottovoce, “… a quanto pare i due erano molto… ehm… affettuosi fra loro; nell’Iliade, Omero non rivela con certezza il vero rapporto fra i due, ma ci sono diversi riferimenti che fanno pensare a ciò che sostengono oggi molti intellettuali, cioè che passavano parecchie notti insieme; Cornelius non ti scandalizzare, era una cosa normale, anche ora, dopo tanti s

Noi due (capitolo 2)

Il grande edificio di marmo si stagliava alto contro il cielo plumbeo, come se fosse un’unica grande colonna che voleva andare oltre i limiti umani, e, del resto, quella scuola rappresentava proprio ciò: continuo sforzo e perseveranza per giungere oltre i traguardi della gente normale; non bastava essere colti e forti, ma bisognava aspirare a cose superiori, si doveva essere geni e invincibili, si doveva diventare perfetti. “Mens sana in corpora sana”. Era questo il motto del Frejus, collegio militare per giovani gentiluomini; studiare e combattere, essere intelligenti e difendersi, amare e odiare, rispettare gli amici e piegare i nemici: diventare un leader. Gabriel si passò una mano fra i capelli che recentemente aveva tinto di castano osservando una delle grandi finestre della scuola. Quel giorno era venerdì, il che equivaleva a dover scegliere fra seguire le lezioni per un giorno intero oppure andare in palestra e combattere. Non voleva fare nessuna delle due cose. Studiare lo anno

Vendesi marito (capitolo 2/2)

Il suo sonno fu agitato, sentiva un forte dolore all’altezza del petto; già i sensi di colpa cominciavano a far presa su di lui. Tormentato, si girò nel grande letto e un colpo di vento lo fece rabbrividire e, quindi, svegliare. Con la mano tastò il posto accanto a lui, ma era vuoto, sgranò gli occhi comprendendo che l’altro non ci fosse. Che fosse stato solo un sogno? No, non era possibile, poiché egli si trovava proprio nel letto del marito di Angelina. Volle rinchiudere gli occhi, quando una voce di uomo lo raggiunse facendolo balzare a sedere. Raphael, appoggiato al muro, con le braccia conserte, lo osservava con sguardo severo. “Ti sei svegliato? Bene, vestiti e vieni di sotto” gli ordinò con tono che non ammetteva repliche e, senza neanche guardarlo, uscì di fretta. Dio cos’aveva fatto? Si mise la mano fra i capelli; era arrabbiato, era normale. Cosa si era aspettato? Che il suo sarebbe stato un dolce risveglio fra le braccia dell’uomo che amava? Una candida lacrima gli solcò la

Vendesi marito (capitolo 1/2)

“M- ma almeno ti rendi conto di cosa stai dicendo?!” il ragazzo alzò la voce, era sorpreso, turbato, scandalizzato. “Si, mi rendo conto, mica sono scema. Ti sto chiedendo di sedurre mio marito” rispose una ragazza bionda accavallando le gambe. Narciso chiuse gli occhi cercando di non strillare dai nervi. L’unica spiegazione plausibile era che la sua amica o fosse matta o lo stesse prendendo in giro. “Bene, ora smettila di scherzare, dimmi perché mi hai chiamato qui, ho da lavorare io, al contrario di te che giri tutto il giorno” le disse cercando di sembrare irritato, ma la sua voce tremava. Solo il pensiero del marito di Angelina lo metteva in subbuglio, però cercò subito di scacciare dalla mente quelle immagini e sensazioni riprovevoli: era l’uomo della sua migliore amica! “Se tu lo chiami lavorare…” commentò lei. “Si, è la- vo- ra- re!” ribatté il ragazzo con forza. Anche fare il pittore era un lavoro! E che cavolo! Lei non aveva mai guardato di buon occhio l’arte, neanche quando lu