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Alexandros ( capitolo 11)


Marcus tolse la mano dal collo di Publius come se fosse stato scottato. Il ragazzo cadde dallo spavento, negli occhi dell’altro aveva letto una furia omicida e una freddezza che gli aveva raggelato il sangue.
Julius si alzò e gli andò vicino dando un’occhiata rapida al fratello che si era fermato tremolante a pochi passi da loro.
“M- Marcus…”sussurrò, ma immediatamente gli arrivò un pugno che lo fece barcollare. La sua mascella era quasi sicuramente rotta.
Marcus non disse nulla, era troppo sovrastato dalla rabbia e a stento riusciva a trattenere il controllo su se stesso.
Si passò una mano fra i capelli, nessuno fiatava, improvvisamente era come sceso un gelo fra i presenti, riusciva addirittura a percepire i propri battiti di cuore.
Dei battiti molto veloci.
“Voi” pronunciò rivolto agli amici di Julius “domani mattina vi voglio nel foro con i vostri padri e ora andate” comandò.
I giovani se ne andarono fuggendo, pieni di paura verso colui che avevano sempre sentito essere elogiato come uno dei generali più giovani, ma anche più forti e cruenti.
Avevano appena constatato che la fama gli rendeva giustizia.
Cornelius si avvicinò e, nel momento in cui vide in che stato era ridotto Alexandros, si portò le mani davanti alla bocca e osservò il padre che fissava lo schiavo pensoso.
Il giovane era riverso a terra, gli occhi chiusi, il bel volto era reso quasi irriconoscibile dai lividi e dalle tumefazioni, il corpo era un succedersi di ferite, ematomi, graffi, era un miracolo se non aveva nessun osso rotto.
Era mezzo nudo, pronto per essere violato.
Il respiro era pesante e lento, come se gli facesse male anche il solo nutrirsi di aria.
“Cornelius, prendi tuo fratello e accompagnalo a casa. Domani mattina” continuò parlando questa volta a Julius “presentati in cortile. Andate”.
Aspettò che i ragazzi se ne fossero andati accompagnati dagli schiavi con le lucerne, quindi, rimasto da solo con due schiavi, con passo lento si avvicinò ad Alexandros e lo esaminò a lungo, non riuscendo a credere di doverlo vedere in quelle condizioni, si inginocchiò e gli carezzò lo fronte ottenendo un mugolio leggero.
“Alexandros…” sussurrò fra i denti.
Una lacrima solcò il viso del giovane che aprì gli occhi come se si stesse risvegliando da un sonno profondo.
Si guardarono a lungo, Alexandros sorrise appena, ma poi gli sfuggì una smorfia di dolore.
Marcus lo prese in braccio, cercando di fare piano per non procurargli ulteriore dolore e si avviò verso casa.
“Marcus… posso… credo di farcela… non…” sussurrò imbarazzato.
“Ssh, non farmi arrabbiare anche tu” replicò e, mosso da un istinto del tutto sconosciuto, gli posò un breve bacio sulla fronte.
Alexandros cercò di sorridere nel frattempo che perdeva conoscenza fra le braccia dell’uomo che aveva sognato tutte le notti da quando era partito. Finalmente aveva ritrovato il suo calore.

Marcus era stanco morto, tuttavia chiese a Gavriil di chiamare il dottore per alleviare le pene di Alexandros.
A breve il greco Nikolaos arrivò e si occupò del ragazzo, assistito da Gavriil, lo lavò, gli medicò le ferite, lo fasciò.
Dopo molto tempo uscì dalla stanza dello schiavo e informò Marcus che non aveva nulla di rotto e che si sarebbe ripreso in fretta.
L’uomo ne fu sollevato; rimasto solo, andò da Alexandros.
Il volto era meno gonfio e dormiva.
Gli carezzò la guancia, osservandolo.
Le sue dita si posarono sulle labbra rosse.
Erano morbide.
Erano cosi come se le ricordava.
Le proprie labbra donarono un bacio leggero al ragazzo.
Per gli dei, quanto gli era mancato!
Soprattutto nelle notti fredde passate in un lurido accampamento romano.
Aveva combattuto.
E ogni giorno era andato avanti soltanto con la consapevolezza che doveva tornare a casa.
Ma lui era già a casa anche in Gallia.
Non poteva più staccarsi da Alexandros. Non voleva farlo.
Se, almeno una volta, una sola, fosse stato egoista, cosa sarebbe accaduto?
In quel momento volle essere tale.
Voleva Alexandros.
Non voleva curarsi degli altri.
Era pericoloso, enormemente pericoloso.
Stava veramente impazzendo per lui.
Scosse piano la testa, mentre un sorriso amaro faceva capolino sulla sua bocca.
Si lasciava prendere dalla pazzia per lui.
Con occhi colmi di tenerezza gli carezzò i capelli lunghi.
Spostò la coperta e ci si infilò prendendo in braccio il ragazzo.
Il suo profumo era proprio come se lo ricordava.
Profumava di viole, rose e mille altri fiori.
Si addormentò con nelle narici l’odore della lontana primavera.

La mattina seguente Julius si presentò davanti a Marcus con un grosso ematoma sulla guancia e un occhio leggermente gonfio.
Marcus non ne era per niente dispiaciuto, forse finalmente avrebbe capito quale fosse il suo posto.
“Dunque, cosa è successo ieri sera?” andò subito al sodo, né Julius si aspettava qualcos’altro da lui.
“Lo hai visto benissimo” ribatté il ragazzo, ma Marcus, con passo veloce, gli fu accanto e lo schiaffeggiò con violenza sulla stessa guancia sapendo di amplificare notevolmente il dolore.
Il giovane si portò una mano sul punto dolente e si lasciò sfuggire un lamento.
“La mia pazienza è infinita ragazzino, però stamattina ne sono al limite, vedi di rispondermi come si deve” lo avvertì, Julius fu tentato di provocarlo ulteriormente, ma non era proprio il caso di tirare troppo la corda.
L’uomo si allontanò di un paio di passi per calmarsi.
Quando riprese a parlare la sua voce era glaciale come i suoi occhi.
Soltanto in quel momento Julius capì il perché Marcus fosse cosi paventato. Tutti lo lodavano e lo adoravano, ma in realtà lo temevano.
“Perché hai lasciato che lo riducessero in quello stato? O sei stato tu a dire loro di farlo?” lo interrogò.
“Non ho detto io…”.
“Ciononostante gli hai lasciati fare”.
“Si”.
“Perché?”.
“Perché è solo uno schiavo”.
“Se non ti conoscessi potrei anche crederti ragazzino, tuttavia non è per questo” sibilò fra i denti avvicinandosi a lui “è perché tu te lo vuoi fottere, ma lui non vuole, perché appartiene a ME” finì di parlare quasi con cattiveria.
Centrato!
Julius strinse i pugni abbassando la testa.
“Perché non ti sei accontentato di qualche pugno per vendicarti? Ti rendi conto di come lo avete ridotto?” domandò con voce strana.
Quel tono di dolore che Julius non aveva mai sentito nella voce del padre gli fece alzare il viso e leggere negli occhi dell’altro tutta la battaglia interiore che conduceva da anni.
Spostò lo sguardo turbato.
“Non volevo… ho esagerato” ammise infine, l’altro sospirò pesantemente.
“Hai esagerato. Non ammetto questa tua follia per Alexandros, lo sai benissimo. E soprattutto non ammetto che tu disobbedisca a dei miei diretti ordini. Da domani, ragazzino, sarai arruolato nelle truppe mercenarie dell’Asia” concluse dandogli le spalle.
Julius fu percorso da un tremito in tutto il corpo.
“Non puoi farmi questo” sussurrò senza voce.
“E’ quello che sto facendo, sono certo che cosi ti tornerà il senno che non hai mai avuto. Vai a riposare, il viaggio che intraprenderai da ora sarà duro”.
Non una parola in più.
Quello era stato il loro ultimo discorso.

Nella stessa mattina Marcus si dichiarò pubblicamente offeso con le famiglie dei ragazzi che la sera precedente avevano picchiato il suo schiavo.*
Una grande vergogna, quindi, andò a posarsi su di loro, i figli sarebbero stati puniti dai padri.
Marcus lo sapeva, lo aveva fatto apposta.
In breve avrebbe accettato le loro scuse.
In quel modo aveva anche fatto un gesto di sottomissione di quelle famiglie, le quali si sentirono talmente umiliate da pensare che la società non le avrebbe più volute se non fossero rientrati nelle sue grazie.



*Qui penso ci sia bisogno di una piccola spiegazione; Marcus non fa tutto questo perchè potrebbe provare dell'affetto per Alexandros, ma semplicemente perchè i Romani sentivano molto forte il senso di possesso delle loro proprietà e, pertanto, anche Alexandros è una sua cosa che non deve essere toccata assolutamente dagli altri. In conclusione, i Romani sentivano la casa, gli oggetti, gli schiavi come un "prolungamento" del proprio corpo e rubare o far del male a una loro proprietà significava ferire loro stessi.

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