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P. S. Ricordarsi di vivere (capitolo IX)


Rabbrividì.
Sì, iniziava davvero a far freddo. Si strinse di più nella vestaglia, il cielo si stava annuvolando velocemente, promettendo un temporale.
Si rannicchiò sulla sedia, si tolse le pantofole, sfiorando l’erba con i piedi e si sciolse i capelli rossi, scuotendo la testa. Si tirò su le maniche della vestaglia e del pigiama e osservò disgustato i vari buchi che aveva sul braccio.
Si sentì fragile.
Alle sue spalle due forti mani lo toccarono, coprendolo con qualcosa. Si voltò e vide Viktor, che gli sorrise.
Dio, che sorriso che aveva! Se esistevano gli dei è così che avrebbero sorriso.
Rimase per un attimo intontito, respirando gli effetti di quello stendersi di labbra.
Da un po’ di tempo si sentiva così quando stava con lui: sereno e molto stupido. Oramai non riusciva a più nascondere la sua espressione di contentezza quando lo vedeva arrivare, il desiderio che gli faceva nascere dentro e il senso di sicurezza che gli trasmetteva.
Il moro gli aveva messo sulle spalle un giubbotto.
“Non senti come fa freddo?” chiese il bruno sedendo sull’altra sedia, nel posto che ormai era diventato un po’ “loro”.
“Si, però è sopportabile. E poi mi piace, mi fa sentire vivo” disse guardando il cielo.
“Di nuovo tu e le tue teorie” constatò Viktor “E’ questa la tua filosofia di vita? Beh si, alle altre persone il freddo dà fastidio, al principino invece piace. Regolare” sentenziò sarcastico.
Erast mosse la testa per guardarlo.
“E la tua di filosofia qual è? Sentiamo”.
L’uomo giocherellò con una foglia secca che giaceva sul tavolo e poi lo guardò negli occhi.
“Che anche a me piace il freddo” rispose malizioso.
Erast poggiò i gomiti sul tavolo, il viso sui palmi delle mani e lo guardò torvo.
“Certo. Infatti Sua Maestà Viktor il Terribile è anche conosciuto come Viktor il Freddo. Sì, sì” lo prese in giro Erast.
Allora Viktor allungo un braccio per afferrargli un polso.
“Puoi dirmi tutto, tranne che io sia freddo” disse in un sussurro caldo, facendo scivolare la mano su quella dell’altro, intrecciando le dita con le sue.
E il rossino lo lasciò fare, arrossendo un poco.
Ecco, era così che si sentiva con lui. Come un bambino, come un ragazzino alla prima cotta, così insicuro e debole. L’altro era l’unico che avesse, diciamo, il “potere” di farlo arrossire.
Era fatale, come la notte che si sussegue al giorno dall’era dei tempi: lui lo toccava ed egli arrossiva. Meccanico.
Il giovane si sforzò di non staccare gli occhi dai suoi e stese le labbra in un tenero sorriso.
Viktor si stupì. Da quando l’altro gli sorrideva a quel modo? E da quando la rabbia e la luce di sfida nei suoi occhi erano diventate quella sorta di tenerezza?
Il ragazzo era cambiato dal primo giorno che l’aveva visto, quando ancora sembrava un cucciolo braccato e indifeso, pronto a combattere con i denti e con le unghie.
Non gli dispiaceva questo altro suo lato. Lasciò la sua mano e si alzò.
“Vado a informarmi sulle tue condizioni. Spero che tu faccia il bravo in mia assenza”.
Erast inarcò le sopracciglia innocentemente.
“Ne dubiti?” chiese il giovane con tono ironico.
“Conoscendoti…”
Il rossino gli mostrò la lingua e Viktor dopo un ultimo sguardo si allontanò per entrare in ospedale.

Bussò alla porta; dall’altra parte nessuna risposta, ma lui entrò ugualmente, richiudendosi l’uscio alle spalle.
Raphael si voltò sorpreso.
“Non ti ho sentito bussare” disse riprendendo a sfogliare alcuni documenti che aveva in mano.
“Ma l’ho fatto”.
“Scusami, è che sto cercando la scheda di una paziente ma inspiegabilmente non si trova. Mi ha già fatto una sfuriata!”
Viktor intanto si era avvicinato, le mani in tasca e il passo lento.
“Come sta Erast?”
L’altro smise di fare quello che stava facendo ed alzò la testa guardandolo.
“Diretto come sempre” Beh…” aggirò la scrivania, posò la penna nella tasca del camice, si ravviò i capelli biondi “… ovviamente sono particolarmente interessato al suo caso, in caso contrario chi ti sopporterebbe!” ridacchiò ma Viktor rimase serio. Raphael alzò il mento, guardandolo negli occhi “Le cure procedono bene, il suo fisico reagisce come dovrebbe, è tutto sotto controllo. In più il giovanotto ha tanta tenacia; poche persone ci riescono. Ti deve volere un gran bene quel ragazzo” concluse con tono di voce più basso.
“Semmai vorrà bene a sé stesso. E’ per lui che lo sta facendo”.
Raphael ridacchio, scuotendo piano la testa.
“Ah, come fai a non vedere. Forse semplicemente non vuoi. Io lo vedo come ti guarda” si incamminò verso la finestra, poi tornò a guardare l’altro “e come sei tu quando sei con lui”.
“Non mi pare l’argomento adatto per questo luogo, no?” disse Viktor leggermente infastidito.
Odiava parlare dei suoi presunti sentimenti e della sua vita privata.
Il dottore sospirò, si guardò le scarpe e gli si avvicinò, portandosi a pochi centimetri da lui.
“Con me non usi la dolcezza che hai con lui. E non ci sei neppure andato a letto”.
“Capisco, vuoi per forza parlare di lui!” esclamò il bruno esasperato.
Il biondo abbassò lo sguardo, per poi rialzarlo, lievemente triste.
Viktor lo guardò. Quegli occhi celesti sfumati di grigio. Quanto aveva amato quegli occhi, quando era innamorato di Raphael. Era stato soggiogato dall’amore e dalla passione e solo per lui in tutta la sua vita. Gli accarezzò il viso con le nocche.
Chissà se sarebbe andata diversamente se…

Una goccia d’acqua cadde sulla guancia di Erast, seguita dalla pioggia.
Il ragazzo si sbrigò a tornare in ospedale; si infilò il cappuccio del giubbotto.
Nella sua stanza Viktor non c’era. Aveva detto che andava a parlare con un dottore. Certo, peccato che l’ospedale era pieno di medici! E ora dove lo trovava?
Si avvicinò allo studio del dottor McRains. Egli più degli altri si occupava di lui, forse il bruno era lì. Posò una mano sulla maniglia della porta ma si bloccò; dentro delle voci un po’ troppo concitate discutevano tra loro ed una di loro era quella di Viktor.

“Perché sei venuto a letto con me Viktor?” chiese il dottore semplicemente “ c’è una ragione o è stata solo pura voglia?”
Il bruno sospirò, avvicinandosi alla porta come per uscire dalla stanza, ma poi tornò indietro.
“Non sono stato l’unico a sentire di nuovo il fuoco di quella passione sopita, non tentare di farmi sentire colpevole di qualcosa” disse deciso, mettendo in chiaro i fatti.
“Sai che non è mia intenzione” assicurò il medico “tuttavia sai bene quali sono i sentimenti che provo per te. Non aggiungo altro”.
Viktor lo guardò un’ultima volta poi aprì la porta ed uscì. Guardò per terra; c’era una pozzangherella. Passò oltre.

Stava appoggiato all’armadio. Una mano stringeva la propria veste, sul petto, e tremava leggermente.
Non si era tolto il giubbotto bagnato; si lasciò calare il cappuccio sui capelli, scoprendoli; uno sguardo terribile sul viso, un misto di disillusione e tristezza.
Dunque era questo. Per questo lo andava a trovare tutti i giorni. Aveva una specie di flirt con quel dottore!
Digrignò i denti, riabbassando la testa; sospirava irregolarmente.
Cosa aveva creduto? Loro due non erano una coppia. Allora perché faceva così male ora? Perché quelle parole gli avevano fatto così male?
Ridacchiò tristemente. Certo, si era illuso che quei baci contenessero più che semplice voglia. Eppure come aveva potuto sbagliarsi? I loro non erano mica solo scambi di saliva come quelli con i clienti!
Era stato ingenuo, aveva letto di più nei suoi occhi e nelle sue carezze. Certo, lui non aveva mai avuto rapporti diversi da scopate di una notte, cosa poteva saperne di come funzionavano le relazioni tra le persone?
E ora cosa rimaneva? Si arrabbiò con sé stesso. Non doveva stare così.
Eppure non poteva fare a meno, in fondo al proprio cuore, di sentirsi in qualche modo tradito.
Si sedette per terra, la schiena contro l’anta dell’armadio, le ginocchia al petto, la testa su di esse.
Non voleva più essere trattato come una puttana…
... specie da lui.
Da quando era iniziato quel cambiamento? Da quando aveva iniziato a sentirsi una persona e non un trastullo?
Forse da quando aveva smesso con la droga, pensò. Ma era sicuro che in tutto questo c’entrasse anche Viktor. Lui gli aveva dato la forza. Gli aveva sbattuto in faccia la realtà e gli aveva dato il coraggio di vivere davvero; era stato lui a ricordargli di vivere.
La porta della stanza si aprì, ed entrò il protagonista di tutti i suoi pensieri.
Viktor lo cercò con lo sguardo, alzando un sopracciglio quando lo vide raggomitolato per terra.
“Cosa fai lì per terra?” chiese sinceramente interessato.
“Niente” ripose Erast secco e si alzò, guardando fisso davanti a sé. Riuscì a riscuotersi e si tolse il giubbotto “si è bagnato mi dispiace” disse a bassa voce, come rassegnato, triste.
Il moro afferrò il giaccone che l’altro gli porgeva senza guardarlo in faccia. Si accorse solo allora che egli era tutto bagnato e così il pavimento. Come in un puzzle ricollegò quel particolare alla pozzanghera fuori la porta dello studio di Raphael.
Ma no, non poteva essere.
“Cambiati che ti ammali” gli disse poggiando il giubbone sulla finestra.
“Non ti preoccupare” si tolse la vestaglia, con movimenti lenti. Viktor si fermò a guardare il suo corpo che traspariva dal pigiama bagnato e ne rimase per un attimo incantato “ascolta” continuò il rossino “non devi venirmi a trovare per forza. Voglio dire… avrai altro da fare. Il locale non va avanti da solo”.
“C’è Rosalie a occuparsi di tutto”.
“La nave non si muove senza il suo capitano a bordo”.
“Che stai dicendo. Sai che sono qui perchè lo voglio”.
“Certo è difficile rinunciare al piacere, lo so bene” alzò la testa, guardandolo per la prima volta negli occhi da quando l’altro era entrato nella stanza, ormai quasi buia per via del brutto tempo “ma puoi anche vederlo fuori il tuo bel dottorino no? Sfruttare un’occasione simile per scopartelo… ti facevo più elegante, ‘Viktor’” disse sottolineando il fatto che Raphael lo chiamasse per nome.
Ora il bruno non aveva più dubbi, Erast li aveva sentiti mentre discutevano.
Si passò velocemente una mano tra i capelli, sospirando.
“Cos’è, una predica?” chiese con tono duro “non credo di dover rendere conto a te di quello che faccio”.
“Oh, certo che no! Figurati!” disse il rossino con un po’ troppa enfasi nella voce.
“Si può sapere che hai?!”
“Vaffanculo, esci da qui, sono stanco, ho voglia di dormire”.
“Ti ricordo che sono io a pagarti la permanenza nel miglior ospedale della città”.
Erast si voltò.
“Me ne vado subito allora” disse con voce bassa e atona il ragazzo.
Viktor si pentì subito di quello che aveva detto. Non voleva rinfacciargli la cosa.
“Credevo che l’amore fosse lontano anni luce da te” disse Viktor alzando la voce, ironico.
“Amore? Non scherzare, amore per chi? Per te?” rise di gusto “non so cosa sia l’amore” nel momento in cui lo disse non era sicuro che fosse del tutto vero “ ma evita di essere… così con me se poi non sono altro che una puttana che presto sai che ti scoperai!” sentì gli occhi bruciare.
No cazzo, cazzo non doveva piangere, no! Trattenne le lacrime nelle orbite.
Viktor non ci vide più. Si avvicinò velocemente all’altro e lo afferrò con entrambe le mani per il colletto del pigiama e lo fece indietreggiare fino alla finestra e lo spinse sul davanzale, facendolo stare con la testa fuori. Si fece sopra di lui col petto, impedendogli di muoversi. Lo guardò con occhi di brace, sorridendo malignamente.
“Non vuoi che vada a letto con altri? Allora inizia a darmi il tuo corpo, adesso, invece di fare il prezioso. Sei la mia puttana no? È per questo che ti ho comprato mi pare.”
Strappò la maglia del pigiama di Erast, iniziando ad accarezzagli il petto con foga.
“Viktor… piantala!” urlò il rossino.
Quelle carezze erano violente.
“Mi vuoi, no? Ti piaccio vero? Allora stai zitto” disse cattivo.
Erast tentava di resistere a quel corpo su di lui ma un po’ per la debolezza dovuta ai farmaci, un po’ perché l’altro era decisamente più robusto di lui, non riuscì a far altro che strappargli la camicia con le unghie.
L’impotenza unita a tutti i sentimenti e alle emozioni che albergavano in lui lo fecero piangere.
Le lacrime gli scesero sul viso come la pioggia che gli bagnava la faccia in questo momento; i tuoni imperversavano nel cielo e lo agitavano oltre ogni dire.
Viktor si fermò. Cosa stava facendo?
Tirò l’altro dentro la stanza, spostandogli ciuffi di capelli bagnati dalla faccia, osservando i suoi occhi resi rossi dal pianto trattenuto per troppo tempo. La pioggia dunque non era riuscita a nascondere le lacrime.
Era colpa sua se l’altro aveva quell’espressione addolorata e arrabbiata?
Sembrava tornato l’Erast di una volta, diffidente e malfidato con tutti tranne che con sé stesso.
Gli posò una mano sul viso, ma l’altro la scacciò con forza; guardò a terra, uno sguardo buio.
Il bruno sospirò, prese i suoi capelli tra le dita e li tirò, deciso ma senza fargli male, per farlo voltare verso di lui e fargli alzare la testa.
“Quanta grinta… stai decisamente meglio a quanto pare” constatò l’uomo soddisfatto. Il rossino non rispose “ebbene, sei arrabbiato. Sei arrabbiato perché non sei l’unico”.
“Ti sbagli! Io volevo solo dire che tu non…”
“Allora chissà… molte cose cambieranno piccolo Erast” si abbassò per sussurrargli nell’orecchio “ricordi cosa ti ho detto prima che venissi qui? Ogni notte Erast, ogni notte io ti avrò nel mio letto e ti farò mio. Lo so che odi questa tua bellezza, questo corpo che tutti desiderano! Consideri una disgrazia questa tua sensualità, questo tuo essere attraente e irresistibile, dolce ed eccitante al tempo stesso. Ma come si dice, il diavolo non è così brutto come lo si dipinge. La disgrazia che hai avuto per anni, ora potrebbe diventare la catena con cui tenermi legato a te”.

Finalmente arrivò il giorno di tornare a casa.
Erast indossava una tuta blu e aspettava Viktor nella sua limousine. Il bruno stava sicuramente salutando quel Raphael…

Il biondo osservava la macchina del bruno dalla finestra; si voltò verso l’altro.
“Bene, spero che Erast sia contento di essere fuori pericolo ora”.
“Mmh… bene non è esattamente il termine con cui descriverei il suo stato d’animo ora”.
“Come?”
“Direi più… incazzato” Viktor sorrise lievemente.
Raphael piegò la testa senza capire.
“Successo qualcosa?”
“No. Niente…” disse Viktor avvicinandosi all’altro “beh, ti saluto. Sei diventato un medico di tutto rispetto, saprò chi chiamare in caso”.
Il biondo sorrise, col suo sorriso luminoso.
“Spero che né tu né lui ne abbiate mai più bisogno… comunque sì, per qualsiasi cosa io sono a disposizione. Stagli vicino. E’ il sostegno psicologico quello di cui ora ha più bisogno… ma questo non devo dirtelo io”.
Viktor si rabbuiò un po’ ma annuì.
Il dottore gli si avvicinò, tendendosi, intenzionato a baciarlo sulla bocca ma Viktor gli posò la punta delle dita sulle labbra, delicatamente, fermandolo. Lo guardò negli occhi e sorrise. Lo baciò sulla guancia.
“Allora Raphael… a presto. Spero di non rivederti in veste di medico”.
Il biondo sorrise e gli diede una pacca sulla spalla.

Il bruno salì nella macchina, accanto ad Erast e la limousine partì.
Dalla finestra, lì in alto, Raphael osservava l’auto allontanarsi, mentre si accarezzava piano la guancia.

Commenti

  1. Anche a te! E a tutti un nuovo anno bellissimo... e lasciamo da parte i rancori per stare un pò in pace col mondo e con noi stessi.giusto un pò eh!

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  2. Davvero spettacolare questo capitolo. Earst cerca di ricacciare dentro di sè i sentimenti che prova per Viktor, ma purtroppo continuano a venire a galla inesorabili. il cuore di Viktor sembra si stia sciogliendo e lo si nota ogni volta che il suo sguardo si posa su quel cucciolo spaurito. Brava, questo racconto mi prende ogni capitolo di più.

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