Passa ai contenuti principali

P.S. Ricordarsi di vivere (capitolo VI )




Non aveva mai pensato che nella sua vita avrebbe messo piede in un teatro, soprattutto non in uno così lussuoso e grande come quello.
Strinse la piccola mano di Rosalie nella sua come per trarne conforto ed essere rassicurato. Si sentiva a disagio, enormemente fuori luogo.

Quello non era il suo ambiente.

C’erano scale con tappeti rossi e barre dorate, fiori esotici curatissimi, gli addetti in giacca e cravatta che erano gentilissimi con tutti; c’era un brulicare di gente ricca che chiacchierava e rideva sommessamente e con immensa eleganza. Tutto di loro comunicava il loro rango sociale e la loro educazione.
Rosalie gli posò la mano libera sul braccio “Tranquillo tesoro, qui nessuno si accorgerà minimamente che lavori in un night club” gli sussurrò all’orecchio e gli depose un veloce bacio sulla guancia.
Il ragazzo cercò di sorridere, però tutto quello che riuscì a esternare fu una misera smorfia.

Dopo alcuni minuti furono introdotti nella grande sala del teatro e qui Erast rimase paralizzato.
Aveva sentito che il Teatro dell’Opera fosse una costruzione magnifica, ma mai aveva creduto che mano umana potesse realizzare un cupola del genere, dove sembrava che gli angeli volassero e ridessero veramente, dove le luci creavano un’atmosfera da favole, dove regnavano incontrastati il colore rosso e dorato.
Il tocco leggero dell’amica lo distrasse.
“Non ti fermare, fai una pessima figura, andiamo sulla balconata, Viktor ci ha riservato i posti lì”.
Il ragazzo ubbidì e si sedette su una comodissima poltrona con accanto la ragazza che sorrideva soddisfatta, invece lui tremava. Per molti, diversi motivi.

Viktor lo osservava in silenzio mentre sorseggiava il proprio caffè. Erast gli aveva appena chiesto se poteva andare assieme a Rosalie a teatro per vedere l’ “Amleto” di Shakespeare.
“Devo aspettare ancora a lungo?” sbottò il ragazzo che stava a braccia conserte e lo osservava in silenzio.
“Ti interessa davvero?” domandò l’uomo passandogli accanto e andando nella propria stanza.
“Non so, Rosalie mi ha chiesto di accompagnarla, non ci sono mai andato a teatro, quindi non so dire se mi piace o no” rispose cercando di essere diplomatico.
Viktor si denudò e si mise sotto la doccia, Erast lo seguì, ormai non si imbarazzava quasi più a vederlo nudo, anche se nel momento in cui il suo sguardo andava verso le sue parti intime non poteva far a meno di sentire il sangue soffondersi sulle proprie guance.

“Va bene” acconsentì chiudendo gli occhi e lanciando la testa indietro col volto rivolto verso il getto di acqua calda. Erast lo osservò rapito. Era bello come una statua greca. Si passò una mano fra i capelli uscendo dal bagno, biascicando un ‘grazie’.
Quella notte si era agitato senza riuscire a prendere sonno, l’immagine di Viktor sotto la doccia si presentava puntualmente davanti ai suoi occhi ogniqualvolta li chiudeva.

Senza quasi rendersene conto, aveva portato una mano sul basso ventre e aveva cominciato a carezzarsi, prima lentamente, poi sempre più veloce e deciso, dimenticando ogni auto rimprovero, per poi finire a darsi piacere da solo. Dopo essere venuto aveva affondato la testa nel cuscino singhiozzando al limite della depressione. Quella situazione era quanto mai frustrante. Aveva bisogno della droga e si era appena masturbato pensando al corpo di Viktor! Era anche imbarazzante.
Il giorno seguente Viktor gli aveva detto che per l’occasione del teatro aveva prenotato dei posti migliori per entrambi, infine chiese a Rosalie di portarlo in giro per i negozi per comprarsi abiti nuovi e adatti a tutte le occasioni.
“Wow! Viktor ti tratta davvero bene!” aveva esclamato la ragazza facendolo entrare in una boutique lussuosa.
“Si” aveva risposto lui. Pochi minuti dopo, approfittando dell’assenza di Rosalie che era andata a provare un abito compose un numero che sapeva a memoria e aspettò finché non gli rispose la sgradevole voce del fratello.

“Haym! Alla buonora… si, stasera per favore, no no… si, non avrò altre occasioni… testa di cazzo, non me ne frega niente, voglio stasera, hai capito?! Si, vieni al Teatro dell’Opera, non lo so, introduciti in uno dei bagni o dove ti pare… si, fammi uno squillo quando ci sei” e chiuse la conversazione.
Rosalie lo aveva trovato tremante, con la fronte appoggiata a una parete.
Era preoccupata per l’amico, aveva capito che qualcosa non andava, ma aveva attribuito il suo strano comportamento alla stanchezza e forse al suo lavoro.

“Erast… Erast” la voce dolce dell’amica lo riscosse dai propri pensieri. La guardò turbato.
“Scusami, mi ero distratto” cercò di sorridere.
“A che pensavi?” domandò curiosa, forse sospettosa.
“Ah, a niente di interessante, invece tu che mi avevi chiesto?” cercò di sviare.
“Se ti sentivi più a tuo agio”.
“Si, ora si, beh in fondo siamo pochi qui, no?” le sussurrò prendendole la mano fra le sue. Ne aveva un maledetto bisogno.
“Già, uh! Iniziano!” lo informò eccitata con lo sguardo attento al palco. Si spensero le luci, iniziò una deliziosa sinfonia di suoni che gli fece battere il cuore. Guardò attentamente.

La scena era quella di una sala di castello. Al centro un uomo alto, biondo dal comportamento studiosamente principesco parlava. Che tristi parole diceva!
Erast si lasciò completamente assorbire, vide il povero Amleto affranto per la morte del padre e il matrimonio della madre con lo zio, l’assassino del regale genitore; s’immerse nei suoi dolci e nascosti sentimenti verso Ofelia, la ragazza di cui era innamorato; applaudì la fine dell’ Atto II senza rendersi conto del sorriso di sollievo che aleggiava sulle labbra di Rosalie.
Era cominciato l’Atto III, e tutti erano attenti al famoso monologo di Amleto
“Essere, o non essere...
questo è il nodo: se sia più nobil animo
sopportar le fiondate e le frecciate
d'una sorte oltraggiosa,
o armarsi contro un mare di sciagure,
e contrastandole finir con esse.
Morire... addormentarsi: nulla più.
E con un sonno dirsi di por fine
alle doglie del cuore e ai mille mali
che da natura eredita la carne.
Questa è la conclusione
che dovremmo augurarci a mani giunte.
Morir... dormire, e poi sognare, forse...”
In quel momento cominciò a vibrare il cellulare nei suoi pantaloni.
Rosalie distolse lo sguardo dallo spettacolo e osservò il bellissimo viso concentrato di Erast, era cosi aggraziato che non aveva potuto far a meno di notare tutti gli uomini e le donne che lo avevano osservato quando erano entrati nel teatro. Si, era proprio bello. Sospirò piano, sentendo la mano fredda del ragazzo sulla sua.

“Tesoro…” sussurrò al suo orecchio.
“Con chi potrebbe meglio accompagnarsi
la bellezza, se non con l'onestà?” fu la voce di Ofelia a interromperla. La risata amara di Amleto la fece zittire per un attimo.
“Oh, sì! Ma la bellezza ha tal potere
da far dell'onestà la sua ruffiana,
più di quanto non possa l'onestà
fare a sua somiglianza la bellezza.
Questo un tempo pareva un paradosso,
ma ora i tempi provano che è vero.
Una volta vi amavo.” Rispose Amleto girando attorno a Ofelia con comportamento degno di un pazzo. Sentì Erast tremare.
“Mio signore,
confesso, me l'avete dato credere” continuò la ragazza guardando Amleto con occhi persi.
“Non m'avresti dovuto prestar fede;
ché non si può innestare la virtù
sul nostro vecchio tronco
e fargli perdere la sua natura.
Io non t'ho mai amata.” Ribatté il giovane dai capelli biondi e una lacrima solcò la guancia di Erast.
Rosalie lo guardò trattenendo il fiato.
“Tanto più mi considero ingannata.” sussurrò Ofelia piangendo.
Rosalie scosse forte Erast che la guardò stranito, quasi si fosse appena svegliato.
“Scusami, ero talmente preso…” disse cercando di asciugarsi le lacrime che scorrevano passive sul suo volto.
“Oh, piccolo, ti sei emozionato”.
“Si” mormorò e fu allora che lo sentì “Ah, qualcuno mi sta chiamando”.
“Ah, infatti te lo volevo dire, ma tu eri cosi attento…”.
“Non ti preoccupare, esco per parlare e torno, ok?” e si alzò senza attendere una risposta.

“Perché cazzo ci hai messo cosi tanto?!” sbottò Haym prendendolo per un braccio e portandolo in una saletta riccamente decorata.
“Cosa fai qui? Se ci vedono in questa…”.
“Ti pare il caso di rompere, fratellino?” domandò buttandolo violentemente su un divano del primo novecento. Il ragazzo cercò di rialzarsi.
“Non cosi! Prima dammi la droga brutto figlio…” ma non finì la frase che gli arrivò uno schiaffo sulla guancia che lo fece azzittire. Haym si mise cavalcioni sopra di lui con un sorriso truce sulle labbra.
“Ehi, cosa è successo? Il cazzo di Viktor ti dà il coraggio di parlarmi in questo modo? Prima non ti rivolgevi cosi a me!” disse fra l’arrabbiato e l’eccitato.
“Haym…” pregò; cosa c’è di peggio di far vedere l’acqua a un morto di sete?
Il fratello rise piano, infine tolse dalla giacca a vento delle pasticche, ne prese una fra le labbra e una la diede a Erast che la inghiottì subito.
Non passò molto tempo che cominciò ad avvertire i primi cambiamenti del proprio corpo. Quel tremore negli arti, nello stomaco, la debolezza in tutto il suo essere; faticava sempre più a respirare e la bocca diveniva asciutta, secca, assetata. Poteva sentire perfettamente il battito del proprio cuore ma non riusciva più a mettere a fuoco il viso del fratello. La testa divenne leggera e i pensieri negativi, i ricordi, quello che gli stava per accadere di nuovo, scivolarono via da lui come vento sulla pelle. Come poteva il mondo essere crudele se la luce era così buona e amichevole? Come potevano gli uomini essere crudeli e senza scrupoli se ora stava così bene, senza nessun ricordo doloroso, senza alcun dolore fisico? Levitava in alto, sempre più in alto, fino a spiegare le ali e a volare nell’universo, lontano da tutti quelli che gli avevano fatto del male, lontano da Haym, da tutti quelli che se l’erano scopato e poi gettato via, come una bambola rotta, che ormai non ha più nessuna bellezza, nessuna attrattiva… Oh, si…
Haym si era già sbarazzato dalla giacca e cominciò a baciarlo aggressivamente mentre gli ispezionava la pelle con modo di fare barbaro.

“Senti che pelle che hai puttanella, ora sei diventata una signora, da Viktor, dovresti ringraziarmi” gli mormorò all’orecchio mordendolo “Ma non ti preoccupare, ora ti soddisferò io, cosi come facevo ogni notte dopo che ti trombavi mezza città!” sembrava che il rivolgergli quelle parole lo eccitasse ancora di più.
“Ah! Haym… non rompere, sbrigati…” sospirò sentendo la mano del fratello infilarsi nei suoi pantaloni. Era orribile ammetterlo, ma in tutte quelle settimane aveva sentito davvero la voglia di fare sesso e le provocazioni di Viktor non avevano fatto altro che accrescere la sua voglia, quindi in quel momento non gli importava di stare per essere scopato dal proprio fratello. E per di più era fatto. Totalmente fatto! Sorrise amaramente. Proprio come ai vecchi tempi.

Viktor stava seduto sul divano. Una sigaretta si stava lentamente consumando in un posacenere di cristallo mentre lui leggeva un libro sulla classicità. Fin da adolescente aveva adorato la storia antica e spesso, quando gli impegni glielo concedevano, leggeva qualche romanzo storico o qualche saggio di quell’epoca. Nella stanza illuminata soltanto da due lampade che soffondevano una luce rossa, risuonava una melodia di violino.

Viktor staccò gli occhi dal libro e guardò l’orologio che aveva al polso. 10. 45 pm.
Era tardi, ma probabilmente erano ancora al II o III Atto, quella tragedia durava tantissimo. Sorrise pigramente, chissà se a Erast piaceva la rappresentazione, già gli pareva di vederlo al Teatro dell’Opera, immaginava come fosse rimasto non appena aveva messo piede lì, cosa aveva pensato, come si era sentito.
Andò in cucina e si versò del caffè, stava per portarsi la tazzina alla bocca per bere, ma qualcuno bussò alla porta.

Aprì stizzito e il suo umore non cambiò quando vide l’inaspettata ospite: Cindy.
La donna gli saltò al collo, però lui si divincolò e tornò in cucina dove finì di bere il proprio caffè.
“Ehi! Sono venuta fin qui per vederti e tu ti comporti cosi?” domandò lei con vocina falsa che gli graffiò le orecchie.
“Non ti ho detto io di venire, mi pare” commentò acido tornando sul divano e riprese il libro per leggere.
“Senti, non voglio litigare…” iniziò lei.
“Neanch’io, figurati”.
“Allora su una cosa siamo d’accordo” sussurrò lei sedendosi sulle sue ginocchia, Viktor depose il libro con uno sbuffo.
“Cosa vuoi?” le domandò glaciale.

“Stare un po’ con te…” rispose con voce lasciva lasciando vagare un dito lungo il suo collo “Ultimamente per causa di quel ragazzino non ci siamo visti molto e quindi…” lo baciò su una guancia, ma in un secondo si ritrovò stesa lungo il divano con sopra il corpo di Viktor che la bloccava.
“Perciò sei venuta qui per una bella scopata, mi pare di capire” sussurrò lui accarezzandola rudemente sui seni. La donna sospirò per il piacere, però nel momento in cui la carezza si fece quasi violenta spalancò gli occhi.

“Mi fai male!” strillò con la sua voce stridula.
“Si? Eppure prima ti piaceva farti sbattere cosi” ringhiò fermandosi.
“E’ per lui vero?! E’ per quella schifosa puttanella che mi tratti cosi!” sbraitò velenosa.

Viktor per fortuna si ricordò in tempo di non essere un uomo che usava violenza sulle donne e si alzò per calmarsi, quella sera era particolarmente nervoso. Non sapeva spiegarsi il motivo, ma era in quello stato da quando aveva visto il volto rabbuiato di Erast prima di salire su quel taxi per andare a teatro. Era come un presentimento. Al diavolo i presentimenti!
“Scusami, ho mal di testa, vado a prendermi qualcosa” e andò nel bagno. Il mal di testa ce l’aveva davvero.
Aprì il cassetto delle medicine per cercare un’aspirina o qualsiasi cosa andasse bene per alleviargli il dolore. Prese una pasticca e la inghiottì, tuttavia nel momento in cui rimise a posto la confezione vide aperta la scatola dei barbiturici. La prese e ci guardò dentro: era quasi finita.

Per un attimo perse il proprio sangue freddo.

Corse in cucina.
“Viktor, che succede?” domandò Cindy vedendolo guardare dentro al frigo. Il vino non c’era, andò nel bar e anche lì mancavano alcuni alcolici.
Si passò una mano fra i capelli nervosamente. Ora tutto tornava.
“Erast…” sussurrò e udì il proprio cellulare squillare. Si precipitò in salone e rispose vedendo che era Rosalie.

“Cosa c’è?” domandò con voce glaciale che fece tremare la ragazza anche se si trovava dall’altra parte della città.
“Erast…” sussurrò.
“Che è successo? Dov’è?!”.
“Non so, io… mi aveva detto che andava un attimo fuori a parlare, ma non è tornato, oddio Viktor ho paura che gli sia successo qualcosa” la ragazza era prossima al pianto.

“Magari è scappato” suggerì lui cercando di controllarsi.
“No!” esclamò Rosalie, poi tentò di calmarsi “No, aveva detto che non sarebbe scappato… Viktor, credimi! Lui sta bene con te, non l’avrebbe mai fatto! Ti prego vieni qui, è più di mezz’ora che è scomparso” lo implorò.

“Con chi doveva parlare?” le domandò prima di uscire di casa senza neanche curarsi di Cindy.
“Non lo ricordo, sul display del telefono avevo visto un nome, non so… Hare… Haise…”.
“Haym! Quel bastardo!” urlò pieno di rabbia “Sto arrivando!” accelerò e riattaccò il cellulare che buttò sul sedile posteriore.
Era ormai solo questione di tempo prima di acciuffare quel pezzente e fargliela pagare di tutto; di essersi avvicinato ancora e di aver fatto a Erast… tutto quello che lo aveva costretto a fare. Quell’uomo era pericoloso!
Dopo un tempo infinito, passato fra sorpassi di automobili cercando di non ammazzarsi, giunse al teatro dove gli andò incontrò una Rosalie spaventata. La ragazza gli disse dove lo aveva visto dirigersi e senza perdere tempo controllò i bagni, le salette, i corridoi.

Dopo diverse prove, appoggiò la mano su una maniglia dorata e vi premette sopra. Lo spettacolo che si presentò davanti ai suoi occhi gli fece ribollire il sangue nelle vene.


Racconto scritto, immaginato, sognato assieme a Viky.

Commenti

  1. ^__^ c'è un particolare che ho usato anch'io in un racconto, non avevo letto questo capitolo, si vede che abbiamo un immaginario simile!

    RispondiElimina
  2. ah si? poi quando li leggerò penso che mi renderò conto:D un abbraccio.*__*

    RispondiElimina
  3. ehmmm__ dunque___ sesto di quante parti?

    RispondiElimina
  4. se ricordo bene, i capitoli sono 12, magari però li rivedo un pochino, ma in linea di massima siamo a metà.;))

    RispondiElimina
  5. Mammamia è bellissimo questo capitolo!!!ragazzi siete mitici!Un bacio.

    RispondiElimina
  6. Grazie Giusy!!! Non sai quanto è importante il tuo giudizio <3

    RispondiElimina
  7. Tesorina, a quanto pare P.S. è apprezzato :P Che bello.
    Ennesima emozione ad imbattermi nuovamente in questo capitolo.

    RispondiElimina

Posta un commento

Post popolari in questo blog

Alexandros (capitolo 7)

Cornelius e Aemilia lo seguirono durante la lezione e gli fecero tante domande, invece Julius era molto più silenzioso del solito. Parlando dell’Iliade il giovane gli rifilò una domanda alquanto alludente . “ Maestro?”lo chiamò Julius. “ Dimmi”rispose gentilmente. “ Achille e Patroclo erano davvero amici?”volle sapere. “ Certo” “ Solo amici?”insistette lui e Alexandros capì dove voleva andare a parare. “ Ah, Julius non so se tua sorella…”cominciò lui. “ Non si preoccupi per me! Tanto con questi due attorno si può ben immaginare cosa mi tocchi sentire…!”intervenne lei alzando gli occhi al cielo. “ Bene… se la mettete cosi” borbottò sottovoce, “… a quanto pare i due erano molto… ehm… affettuosi fra loro; nell’Iliade, Omero non rivela con certezza il vero rapporto fra i due, ma ci sono diversi riferimenti che fanno pensare a ciò che sostengono oggi molti intellettuali, cioè che passavano parecchie notti insieme; Cornelius non ti scandalizzare, era una cosa normale, anche ora, dopo tanti s

Noi due ( capitolo 1)

Il bambino cercò a fatica di trattenere le lacrime, si soffiò fortemente il naso sentendo un forte groppo alla gola. Una mano piccola e allo stesso tempo più grande della sua, si posò sulla sua testa e cercò goffamente di carezzarlo, allora alzò lo sguardo sull’altro bambino dai capelli corvini che lo guardava tristemente. Sapeva di avere un’aria patetica, tuttavia non poté far a meno di lasciar cadere le prime lacrime. “ Ma cosa hai da frignare?!” esclamò il bambino cercando di parere impassibile. L’altro, dai capelli biondi,lo abbracciò forte, anche il più grande lo abbracciò, poi improvvisamente si staccò da lui e cominciò a correre. Dopo alcuni passi si fermò e lo salutò con la mano, si rigirò e scomparse all’orizzonte. Gabriel spense con gesto meccanico la sveglia. Sospirò piano posandosi una mano sulla fronte. Non capiva cosa fosse stato quel sogno e come mai sentisse una forte pressione sul petto. Si sentiva quasi a disagio, era come se avesse perso qualcosa di molto importante

P. S. Ricordarsi di vivere (capitolo X)

Rientrare in quella casa gli provocò una piacevole sensazione che mai avrebbe immaginato di provare. Quasi si commosse nel sentire, appena messo piede in casa, quell’inconfondibile odore buono, difficile da classificare. Forse era il caffé che ogni mattina preparava per lui e a volte anche per Viktor oppure lo champagne che il bruno gradiva molto. Non lo sapeva, sapeva solamente che era felice di essere di nuovo lì, a casa sua. Mai nella sua precedente abitazione si era sentito così a proprio agio. Lì non poteva fare il bagno quando voleva o mangiare a tutte le ore. Lì faceva la fame e non poteva nemmeno usare i propri guadagni per comprare cibo o sapone. Chiuse gli occhi. No, non sarebbe più stato così. Entrò nella propria stanza, seguito da Viktor, che l’aveva aiutato con le poche borse. “Ecco. Rimetti tu tutto in ordine?” chiese il bruno con il suo solito tono di voce controllato. “Si, non preoccuparti” lo guardò “grazie” disse. L’uomo fece per andarsene ma Erast lo richiamò “non di