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Anime lacerate (capitolo 3)



“Presto, presto!” Anastasius si svegliò a causa degli urli di Hais.
Gli doleva la testa e socchiuse gli occhi per meglio distinguere la sua figura nella penombra della stanza.
Dopo la morte di Bjorn, il ragazzo aveva davvero perso ogni voglia di vivere e, in fondo, la sua esistenza non aveva alcun senso. Le giornate si susseguivano incessanti, sempre uguali.
Il sole non guardava mai giù nel regno dei poveri mortali, le nuvole non facevano mancare la loro presenza, il caldo non dava tregua, era un’afa insopportabile che rendeva ancor più intenso l’odore del fumo che era generato dai crematori, le persone erano ridotte a pelle e ossa e, ai suoi occhi, parevano ancora più miseri che mai.
Non si era uomo.
Non si era neanche un numero.
Si era nulla.
Lì una persona si annullava.
La sua dignità.
La sua vita.
Il passato.
Il presente.
Il futuro.
Solo il nulla.
Non ebbe il tempo di proferire parola, che Hais lo prese per mano e già lo trascinava fuori dall’infermeria, dove si trovava dopo l’ennesimo maltrattamento e abuso sessuale.
Sembrava l’alba poiché all’orizzonte si distingueva un filo di luce arancione, segno che il sole stava per sorgere. Forse quel giorno finalmente sarebbe stato soleggiato.
Rabbrividì piano, non era solo per il freddo notturno.
Qualche cosa non andava, nell’aria aleggiava una certa agitazione che gli fece accapponare la pelle.
Quando, dopo alcuni secondi, mise a fuoco vide per terra alcuni uomini, prigionieri del campo, erano stesi, morti, dai loro corpo usciva sangue.
Erano stati uccisi di recente.
Gente che urlava, scappava, guardie che erano agitate, alcuni stavano assassinando degli ebrei in fondo al campo. Un proiettile dietro la testa e sopraggiungeva la morte. Niente di più facile, di più bello del morire, di ritornare cenere.
La mano di Hais strinse la sua forte, ancora non si capacitava di cosa stesse accadendo davvero, il suo sguardo si posò su una guardia che dava una pistola a un prigioniero del campo e poi scappava, gli uomini che fuggivano per ogni parte, le grida, gli esulti.
Istintivamente strinse anche lui la mano del dottore. Passarono davanti a una fossa comune, là dentro c’erano corpi marci, in decomposizione, pieni di vermi e mosche, i crani sparsi dappertutto.
Che spettacolo macabro!
"Khematohium! Sofoht ausmachn!*" gridarono dei soldati.
Fu allora che li vide: soldati SS che cercavano di seppellire quei corpi con foga, più in là una miriade di fogli che venivano bruciati, i crematoi che venivano devastati.
"An alle SS- Angehorigen. Dan Lager ist sofort zu verlassen!**" gridò un capoblocco.
Guardò incredulo Hais che, sentendo il suo sguardo su di sé, si voltò verso di lui.
I suoi occhi dicevano tutto.
Se non fosse stato cosi vuoto dentro avrebbe pianto.
Libertà.
Quale parola più dolce ci poteva essere al mondo? Li- bert- tà.
Tre semplici sillabe che aveva perso tantissimo tempo addietro e, inconsapevolmente, era andato cercando coltivando la speranza di ritrovarle.
Tremò al pensiero di quell’evento.
Stava riacquistando la libertà.
Cosa sarebbe accaduto da allora in avanti?
La sua vera guerra sarebbe arrivata in seguito.
Bjorn lo aveva avvertito. E aveva scelto la via più semplice.
Morire.

Ciò che successe in seguito fu un caleidoscopio di spari, grida, rumori, odori sempre diversi, colori che pensava non esistessero più. Vide anche il sole. Oh, com’era bello il sole!
Mentre fuggivano, si fermarono un attimo per riprendere fiato e lui guardò in alto: là, in mezzo alle maestose chiome degli alberi, il sole riluceva in tutta la sua splendidezza. Ed era riuscito persino a sentire sulla pelle il suo calore lieve che lo aveva fatto rabbrividire.
Hais gli aveva messo una mano sulla spalla invitandolo silenziosamente a proseguire.
Anastasius, sebbene sfinito, prese quella mano fra le sue e lo seguì.
Lo avrebbe seguito ovunque, anche in capo al mondo.
In fondo, era lui il suo salvatore.
Purtroppo nessuno dei due, durante la fuga, aveva pensato al corpo poco resistente del ragazzo, che, dopo una giornata passata a correre, si accasciò al suolo.
Era svenuto.
Hais, non si perse d’animo, lo prese e lo cullò, gli bagnò le labbra con un po’ di acqua, gli somministrò alcune medicine. Accese un piccolo fuoco per proteggerli dalle bestie e per riscaldarli un po’. Quella fu la loro prima notte di libertà.
Seguirono altri giorni come quelli, e finalmente Hais giunse alla sua meta.
In una piccola cittadina, in una strada angusta, dove le case erano quasi del tutto disabitate, era parcheggiata una macchina beige. Hais prese delle chiavi e con fretta aprì la portiera, non disse nulla davanti agli occhi interrogatori di Anastasius e lo fece sedere sui sedili posteriori. Il ragazzo sentì il motore accendersi, la macchina partire. Non si accorse neanche quando chiuse gli occhi e si addormentò.
Si svegliò molte ore dopo, verso il tramonto. Stavano fermi, si mise a sedere e constatò che Hais non c'era. Cercando di non farsi prendere dal panico si guardò intorno, si trovavano in una strada di campagna. C'erano solo campi attorno e nessun'anima viva.
Aprì la portiera e scese dalla macchina facendosi accogliere dall'aria fredda della sera, tuttavia piacevole sulla pelle. Il sole stava scomparendo oltre l'orizzonte e si sentì improvvisamente leggero, come non lo era mai stato. Soltanto in quel momento cominciava a realizzare quello che era successo. Si portò una mano alla bocca e singhiozzò. Le lacrime cominciarono a uscire finalmente dagli occhi.
Si accasciò al suolo e si nascose il volto fra le mani tremanti.
Era libero!
Non poteva crederci, dopo tutto quello... dopo tutto era libero.
Non più botte, non più violenze, non più insulti.
Dopo alcuni minuti sentì dei passi avvicinarsi, però non ci diede peso fino nel momento in cui non si fermarono vicino a lui, soltanto allora alzò il viso per incontrare gli occhi caldi di Hais che reggeva dei vestiti in mano e gli sorrideva.
Non aveva mai visto il suo volto cosi radioso, cosi bello. Quell'uomo lo aveva salvato.
Hais allungò una mano e lui la prese.
Lo portò ad una casa abbandonata, dove trovarono delle pentole, dei letti, dei mobili ancora in buono stato.
Hais rise per la loro buona sorte, e prese due pentole, fece scaldare dell'acqua portata dalla fontana del cortile, quindi le versò in una vasca con altra acqua fredda e obbligò Anastasius ad immergersi.
"In questa casa c'è di tutto, tranne cibo che si è avariato, sembra quasi che chi ci abitava abbia dovuto abbandonarla di fretta" osservò il dottore tornando con del sapone fatto in casa che porse al ragazzo.
"Magari erano ebrei" suggerì lui passandosi il sapone sulle braccia e sul collo, poi sul torace e quando dovette passarselo sulle gambe e nelle zone intime si fermò imbarazzato.
"Si, è probabile" replicò lui soprappensiero, aggiunse " Ti vergogni di me? Vuoi che me ne vada?".
"Eh? Ma no, non c'è bisogno" rispose cercando di essere disinvolto. L'uomo sorrise e lo osservò a lungo. Era cosi strano vedere su quel volto un po' di serenità! Erano scappati da pochi giorni, eppure i cambiamenti sul ragazzo erano visibili, per esempio nei suoi occhi che brillavano come le stelle.
"Hai pensato cosa fare adesso?" gli domandò socchiudendo gli occhi, Anastasius si fermò e fissò il vuoto davanti a sè. Calò di nuovo un silenzio pesante fra i due, infine il giovane si mosse nell'acqua.
"No, è... è troppo presto, ancora non riesco a credere di non essere più lì... non so..." mormorò confuso.
"Va bene, è normale, ma dimmi: hai parenti, amici? Qualcuno da cui tornare?" insistette.
"Si, ho mio padre, ma non posso tornare a casa..." borbottò guardandosi e Hais capì.
Il genitore non lo avrebbe mai voluto, non dopo che è stato deportato come omosessuale.
Povero ragazzo, era proprio nato sotto una cattiva stella. Si alzò e andò in cucina dove lo raggiunse anche Anastasius dopo avere indossato i vestiti che gli aveva portato Hais. Sedettero alla tavola e mangiarono della carne affumicata con formaggio, pane nero e latte. Era da tantissimo tempo che non mangiava cose cosi buone! E cosi tanto.
Quella notte vomitò tutto quello che aveva mangiato a cena.
Nei giorni seguenti Hais stette più attento al ragazzo e cominciò a dargli solo poco da mangiare all'inizio, per riabituare il suo metabolismo a un pasto normale. Essendo degli esuli, l'uomo decise di sostare in quella casa ancora per un pò, quindi la sistemò al meglio riparando il tetto, alcuni mobili, pulendo con Anastasius. Cosi passarono ben due mesi. Due mesi durante i quali il mondo cominciava ad essere informato di quello che era successo nei campi di concentramento, ciononostante le persone che non avevano vissuto lì ostentavano di non credere che tutto ciò che era accaduto fosse successo veramente. Le persone "normali", non ebree, non zingari, non omosessuali, non sapevano nulla della strage messa in atto in quelle prigioni.
Ormai giugno riscaldava le serate di quella campagna della Provenza. Anastasius a volte pensava di come erano arrivati lì, a lui quei giorni durante i quali erano scappati parevano passati molto rapidamente, eppure erano giunti fin nel sud della Francia.
La mano di Hais che si posò sulla sua spalla lo riscosse. Lo cercò con gli occhi e l'uomo vide ciò che vi vedeva sempre quando il ragazzo lo guardava: riconoscenza.
Ne era contento, però non gli bastava, ogni volta che i loro sguardi si incontravano sentiva una pugnalata al petto. Ogni notte era un tortura dormire assieme a lui, non perchè il ragazzo faceva incubi sul recente passato, ma perchè non poteva toccarlo, non cosi come avrebbe voluto.
"Non senti freddo?" gli domandò sedendosi accanto a lui, il ragazzo tornò ad osservare il cielo stellato e scosse la testa.
"Sai, da piccolo mi piaceva stare a guardarle, poi le contavo... mamma mi diceva sempre che mi sarebbero uscite tante bolle quante stelle contavo! Non era una cosa sciocca?" rise sommessamente.
"E ti uscivano?".
"No! Ma avevo paura che succedesse" rise ancora e prese la mano di Hais fra la sua, lo guardò ridiventando serio "Hais... non potrò mai sdebitarmi con tutto quello... con tutto, che hai fatto per me e...".
"Smettila! Non dovresti ringraziarmi, avrei dovuto cercare di liberarti prima" rispose.
"Perchè?".
"Perchè cosa?".
"Perchè io? Perchè quando eravamo lì ti prendevi cosi cura di me, perchè mi hai aiutato a fuggire, io non capisco perchè tu abbia fatto tutto questo... in fondo eri un medico del campo, dovevi sottostare ai loro voleri, potevi essere ucciso..." biascicò le parole sentendo gli occhi tornargli lucidi.
Hais non rispose subito. Perchè? Neanche lui lo sapeva.
"Non so, Anastasius, forse perchè sono stato mosso dalla compassione per te" rispose infine stringendogli la mano.
"Ma perchè io? Nel campo c'erano cosi tante persone, alcune ridotte molto peggio di me, io ero solo sfruttato dagli SS e...".
" 'Solo'? Anastasius, tu non c'entravi nulla, tu non sei omosessuale, quelli volevano solo violentarti, per questo ti hanno portato lì, non lo capisci? Non chiedermi il perchè ti abbia aiutato, non lo so neanche io" gli espose cercando di calmarsi. Ogni volta che si ricordava di come se lo ritrovava sempre nell'infermeria da campo gli saliva il sangue alla testa.
"Scusami" singhiozzò cominciando a piangere "Non volevo farti arrabbiare" aggiunse stringendo le dita sulla sua camicia e affondandovi il viso. Hais cominciò a carezzargli i capelli stringendoselo al petto. Avrebbero dovuto affrontare una nuova lunga notte angosciante.
Anastasius per fortuna si calmò e si addormentò accanto a lui, Hais gli carezzò a lungo i capelli soprappensiero. I capelli castani del giovane ricadevano sul cuscino come una macchia fatta di fili di seta, il suo volto di avorio era quasi sereno, il respiro era regolare.
L'uomo gli sfiorò la guancia con un dito in una lenta carezza.
Voleva sapere perchè lo aveva aiutato? Come poteva dirglielo? Avrebbe spaventato sia Anastasius sia se stesso.
Era cosi facile, lo aveva aiutato semplicemente...
"... perchè ti amo...".
Un secondo improvvisamente parve un'eternità.
Lo aveva detto ad alta voce e Anastasius lo stava guardando con gli occhi sbarrati.
Dal terrore.
Il ragazzo si allontanò immediatamente da lui, al punto che quasi cadde dal letto. Non disse nulla, corse fuori dalla stanza.
"Anastasius!" gridò correndogli dietro, ma lui fuggiva, era ormai lontano da lui, da quella casa, da tutto.
Volle seguirlo, però non poteva farlo. Lo avrebbe spaventato ulteriormente e lo avrebbe sentito braccato.
Appoggiò la fronte alla parete.
"Stupido, stupido, stupido...!" si ripeteva come se fosse una nenia.
*"Crematorio! Spegnere subito!".
** "A tutti gli appartenenti alle SS. Il lager deve essere immediatamente abbandonato".

Commenti

  1. Che bel capitolo. Si avverte il senso di libertà e di paura ma anche la tenerezza e l'amore celato.
    Brava.

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  2. Grazie^^, beh è piuttosto difficile questo racconto perchè spesso rischio di perdermi in discorsi troppo teneri andando fuori tema o fare certe scene troppo crudeli...in effetti questo capitolo è stato mooooooooooolto censurato-.-
    A presto. Kissoni

    RispondiElimina

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